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I FALSI MITI DELLA COMUNICAZIONE 

Tra i grandi errori che si commettono nella comunicazione e nello studio del marketing, molti di essi sono fondati su falsi miti a riguardo.

 

“Posso vendere a tutti”

È questa una delle più grandi false credenze che ha preso piede nel mondo del marketing. Molti (inesperti), infatti, si approcciano a questo mondo con la convinzione che l’importante sia avere un prodotto da vendere e che l’acquirente arrivi da sé. 

Mai più grande errore può essere compiuto in tal senso: il mito del “vendere a tutti” è un’arma di cui non si conoscono evidentemente bene le conseguenze. Questa affermazione sottolinea il fatto che non si conoscono le regole base del marketing in cui definire il target a cui si vuole vendere è uno dei punti focali nell’istituzione della strategia. Vendere a tutti equivale a non vendere perché la comunicazione ed i messaggi, se estremamente omogenei appunto perchè finalizzati a colpire un po’ tutti, non cattureranno mai sufficientemente alcuna buyer persona

 

Le percentuali di Mehrabian

Probabilmente più conosciuta a coloro che si sono già approcciati al marketing, la teoria delle percentuali dello psicologo Mehrabian incarna il terzo falso mito della comunicazione. 

Tali percentuali ci dicono che l’efficacia di una comunicazione è data per il 7% dalle parole, per il 38% dal tono di voce e per il 55% dalla comunicazione non verbale

Per comprendere la falsità di queste percentuali basta pensare che lo stesso psicologo Mehrabian dichiarò essere soltanto il risultato di un mero esperimento che stava conducendo, finalizzato a notare quanto cambiassero spontaneamente le espressioni facciali in relazione alle emozioni provate.

Il contesto e la finalità specifica in cui queste percentuali nascono ci spiegano come non possano in alcun modo essere prese come buone in qualsiasi ambito comunicativo. 

 

“L’importante è che se ne parli”

Il secondo mito da sfatare riguarda la credenza secondo cui un brand non ha bisogno di una brand recognition positiva perché, seppur male, l’importante è che il suo nome viaggi di bocca in bocca.

Bisogna infatti ricordare che, per quanto effettivamente una cattiva pubblicità possa portare awareness attorno all’azienda, se si tratta sempre e comunque di cattiva impressione, nessuna di queste interazioni si trasformerà in vendita (che ricordiamo essere sempre il fine ultimo di ogni impresa) ma, anzi, accrescerà una cattiva percezione attorno alla brand image, tranne nei casi in cui si riesca a correre al riparo dai danni e risollevare la reputazione. L’importante è che se ne parli, sì, ma bene